Hare Krishna! Il Mantra, il Movimento e lo Swami che ha dato inizio a tutto

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Nato a Calcutta nel 1896, scomparso nel 1977, Abhay Charan De, più noto come Prabhupada, è lo swami (maestro hindu) che ha fondato l’ISKCON (International Society for Krishna Consciousness), ovvero dato vita al movimento generalmente noto come degli Hare Krishna.
Personaggio carismatico, dall’approccio semplice e pragmatico, in età già anziana Prabhupada, sulla scia di Ghandi ma soprattutto del guru indu Bhaktisiddantha Saraswati, ha saputo incuriosire e affascinare un gruppo ristretto di ragazzi alla riflessione spirituale e a uno stile di vita vegetariano, pacifista, che si discostasse dal puro materialismo statunitense.
Senza mezzi propri né una rete di conoscenze, abbandonando una vita comoda e armato solo della conoscenza dei testi sacri sanscriti, era arrivato in cargo dall’India a New York nel 1965, dove superate alcune difficoltà aveva aperto un ashram nel Lower East Side.
Tutto accadeva nel momento di massima espansione del Flower Power, la controcultura, gli hippy e il rock, a cui il movimento parteciperà in modo inaspettato. Alla cultura dell’LSD e della psichedelia però Prabhupada contrappose l’autocontrollo, il rispetto della natura, la considerazione del corpo come un abitacolo temporaneo rispetto alla persistenza dell’anima.
Durante l’arco piuttosto breve di 12 anni il maestro riuscì ad aprire oltre cento templi in tutto il mondo, a viaggiare moltissimo, fare proseliti, e cosa ancora più importante, tradurre in 25 lingue i testi sulla coscienza di Krishna. Ma lo strumento centrale del suo messaggio, quello che maggiormente si imprime nella memoria dei suoi seguaci è il mantra: la pratica del canto devozionale che costituirà la chiave di accesso della diffusione dei suoi insegnamenti spirituali nel mondo occidentale. La preghiera che si farà largo anche nella cultura pop come il tratto caratterizzante della sua predicazione. Non solo New York, ma anche Londra e perfino Mosca sono attratte dai gruppi di giovani con sari che ripetono con tamburi e cembali la loro lode alla divinità, la litania che apre la strada alla felicità universale.