Le cose che verranno – l’Avenir

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TERMINATA
Le cose che verranno – l’Avenir
Mia Hansen-Løve s'impone come uno dei talenti più luminosi del giovane cinema francese
Le cose che verranno – l’Avenir
(L'avenir)
Regia: Mia Hansen-Løve
Cast: Isabelle Huppert, André Marcon, Roman Kolinka, Edith Scob, Sarah Lepicard
Genere: Drammatico
Durata: 100 min. - colore
Produzione: Francia (2016)
Distribuzione: Satine Film
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Nathalie ha cinquantacinque anni, due figli, un marito e una madre fragile. Insegnante di filosofia, la sua vita si muove tra casa e scuola, principi filosofici e interrogativi morali. Affidabile, onesta e leale, Nathalie si prende cura della sua famiglia e di una madre anziana sfinita dalla vita. Il suo procedere spedito dentro le cose umane è interrotto dalla confessione improvvisa del consorte, che vuole lasciarla per un’altra, e dalla morte della madre, ricoverata a malincuore in una casa di riposo. Disorientata dal doppio abbandono e da una libertà ritrovata, Nathalie ripiega nel ‘rifugio’ di un ex allievo brillante e anarcoide. In quell’intervallo esistenziale e in compagnia di una gatta nera ereditata, ritrova il senso e il bandolo di sé.
A trentacinque anni e nello spazio di cinque film, Mia Hansen-Løve s’impone come uno dei talenti più luminosi del giovane cinema francese.

Portatrice sana di prodigiosa e secca eleganza, di economia narrativa e costruzione sentimentale di un eroe, di un’eroina o di un movimento artistico (Eden), l’autrice francese esplora con L’avenir i suoi temi prediletti: il tempo (che passa), l’abbandono e la riaffermazione di sé. Ma c’è una novità. Mia Hansen-Løve si allontana dalle rive della giovinezza per avventurarsi nella stagione della maturità con una protagonista che voleva essere amata per sempre e invece. E invece Heinz la lascia dopo venticinque anni di matrimonio e Nathalie si deve reinventare dentro la vita e la fluidità di un racconto prosciugato da deviazioni, diversivi e comprimari. Perché il cinema di Mia Hansen-Løve elude i passaggi ridondanti a favore dei preludi e delle conclusioni. All’accennata drammatizzazione degli eventi fa eco l’interpretazione degli attori, che non è mai una performance ma una traversata su un filo teso sopra l’abisso in cui sembrano precipitare ma da cui si risollevano sempre. Le emozioni passano allora per questa vertigine, per questo vuoto riempito di dubbi e debolezze che donano ai suoi personaggi la volontà, una determinazione che non necessità di alcun eccesso, alcun artificio psicologico o di scrittura.