Lorello e Brunello
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I “contadini sanno di terra” scriveva Gianni Rodari, poeta degli umili che sapeva bene gli “odori dei mestieri”. Bene lo sa anche Jacopo Quadri che ha seguito le quattro stagioni di Lorello e Brunello, contadini della Maremma e di un’utopia bucolica assediata dal mercato globale. Attraverso la piccola e grande storia di due gemelli toscani, Quadri affronta in filigrana la crisi della società rurale e della cultura materiale, narra le sue dittature e i suoi resistenti, mettendo in discussione il potere della grande macchina industriale (gli Antinori).
Pastorale toscana, Lorello e Brunello è un film nobile e ruvido che ha l’asprezza del suolo e la forza delle sue radici.
Il metodo di Quadri è quello della visita ‘improvvisata’, dell’immagine presa dal vivo con una camera digitale e uno sguardo che privilegia la luce naturale, quella del sole e delle stagioni. E la povertà materiale si rivela il mezzo migliore per dire e rendere giustizia alla ricchezza umana del soggetto. Dei soggetti. Tutti, nessuno escluso. Dai gemelli Biondi del titolo a Mirella, fidanzata rumena e infaticabile di Brunello, da Giuliano, coltivatore maldestro di maiali, a mamma Wilma che lo assiste sull’uscio di casa, passando per Ultimina, una vecchia signora che li ha visti crescere e che è la memoria storica e ‘pettegola’ di quell’angolo di mondo.
Il grosso del mondo passa invece per la televisione e la radio accese, dove Trump raglia idee volgari a un’audience distratta dai conti che non tornano o da un piatto di pasta da onorare. I lupi che turbano il sonno di Brunello e Lorello sono di ben altra natura e fattura, portano con nobiltà un mantello morbido e hanno gole fameliche per ingollare lo sprovveduto gregge. Documentario in movimento perpetuo che non smette di spostare le zolle e di ‘interrogare’ i suoi protagonisti, Lorello e Brunello rintraccia una tradizione e annuncia un crepuscolo.