THE HUMAN VOICE

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Una donna sta aspettando che l’ex amante passi a ritirare le valigie che lei ha preparato per lui. L’amore è finito, resta solo il tempo dell’attesa. Con lei c’è un cane, anche lui abbandonato e in attesa del suo padrone. La donna esce di casa per comprare un’ascia e una tanica di benzina: si prepara a distruggere le cose del suo uomo, aspettando la chiamata che metterà fine al rapporto. Quando il telefono squilla, la donna, risvegliatasi da un sonno profondo causato dalle pillole, inizia un monologo disperato che la porta dall’ansia alla supplica, dalla rabbia alla rivalsa e infine al fuoco purificatore che distrugge lo stesso set in cui il film è stato girato…
Il monologo di Cocteau, drammatica ed esasperante disanima del dolore di una donna malata d’amore e abbandonata dal suo uomo, oltre ad aver alimentato, fra le diverse versioni che si contano, la relazione prima d’amore e poi di odio fra Roberto Rossellini e Anna Magnani nel celebre La voce umana del 1948 e nel 1966 la “risposta” dell’altra compagna del regista italiano, Ingrid Bergman, all’epoca non più sposata con Rossellini (The Human Voice di Ted Kotcheff), è presente nel cinema di Pedro Almodóvar fin dai tempi di La legge del desiderio (1987), quando a recitarla era Carmen Maura, e soprattutto di Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988), che ne era una sorta di versione a più voci: un lamento collettivo a metà tra la prostrazione e la vendetta, l’orgoglio e la resa, contro il potere del maschio e a difesa di una femminilità straziata ma rinsaldata delle proprie ferite, autonoma, autoironica, innamorata dell’amore (anche se malato).
L’incontro con il testo letterale, adattato e in parte rimaneggiato dallo stesso regista, è dunque un fatto inevitabile per Almodóvar, con Tilda Swinton trasformata nella sua ennesima eroina abbandonata (ossessiva e implorante come la doppiatrice di Donne sull’orlo, la scrittrice di Il fiore del mio segreto o l’attrice di Tutto su mia madre) e la casa in cui il monologo va in scena (in passato risolto quasi sempre con un intenso primo piano e qui invece allestito come una passeggiata grazie agli auricolari bluetooth) mostrata all’interno di un set allestito in un hangar.
Tutto è finzione, artificio e rimando in The Human Voice: i colori e gli arredi pop dell’appartamento; i vestiti sia sontuosi sia minimalisti della Swinton, che richiamano in un caso la figura dell’attrice in Orlando e nell’altro l’universo astratto degli oggetti Almodóvariani; i libri e i film messi in bella mostra (Secondo amore, Kill Bill, Il filo nascosto, Alice Munro…); il lettering iniziale che “costruisce” il titolo del film ribadendone la natura artigianale.