Touch

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Un viaggio indietro nel tempo, emozionante e esteticamente poetico, per rintracciare le radici di una storia d'amore.
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Regia: Baltasar Kormákur
Cast: Egill Ólafsson, Masahiro Motoki, Yoko Narahashi, Ruth Sheen, Masatoshi Nakamura (II)
Genere: Drammatico
Durata: 121 min. - colore
Produzione: Islanda, Gran Bretagna (2024)
Distribuzione: Universal Pictures
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Kristofer è un signore anziano che scopre di avere una malattia neurologica degenerativa. Il medico gli consiglia di chiudere i conti in sospeso, così decide di partire e dall’Islanda prima va a Londra e poi in Giappone alla ricerca di una donna che non ha mai dimenticato. In tutto questo, sua figlia, preoccupata, continua a chiamarlo.

Un viaggio suggestivo nel tempo e in culture lontane e diverse tra loro. Un film esteticamente poetico che parla di amore, memoria, radici, discriminazioni, ritorni, malattia.

Propone tutto questo Baltasar Kormákur, nel portare sullo schermo un’intensa storia d’amore in modo garbato, raffinato, a tratti ironico. Kristofer, interpretato dal superlativo Egill Olafsson, è il protagonista di un “nostos”, un viaggio di ritorno nei ricordi di giovinezza, che il regista mette in scena attraverso potenti flashback. Lo rivediamo giovane (gli dà corpo, voce e fascino il figlio del regista Palmi Kormàkur), intento a imparare i segreti della cucina giapponese in un ristorante a conduzione familiare. Si scopre segretamente innamorato dell’affascinante Miko (interpretata dalla modella e cantante nipponica Koki), e questo sentimento che nasce si affianca alla fascinazione per la cultura giapponese che contagia chi guarda, come un incanto. Kristofer e Miko hanno culture e storie lontane, insieme sembrano John Lennon e Yoko Ono: l’accostamento non è casuale, chi dirige ci tiene a ricordare l’importanza di un momento politico preciso, in cui imitare certi personaggi era chiaro segno di appartenenza.

La Storia entra nella bolla di intimità familiare del ristorante, crocevia di esperienze quotidiane e sguardi condivisi, appena si sfiora l’argomento scottante di Hiroshima e dei traumi dei sopravvissuti alla bomba atomica. Kormakur mostra grande rispetto per le sofferenze del popolo giapponese e sviluppa la sua narrazione con evidente empatia, senza la minima retorica. Anche il tema tutto contemporaneo della pandemia viene affrontato per contestualizzare meglio una storia d’amore fiabesca, lontana 50 anni dal presente.

Una relazione calata opportunamente in una serie di eventi storicamente importanti, con dettagli sulla società del tempo (patriarcato paterno giapponese compreso), eppure nulla appare mai pedante, fuori luogo o didascalico. Unire la poesia alla quotidianità, un lavaggio di piatti a una dichiarazione d’amore è anzi la cifra vincente di un film che non cessa di emozionare e arriva diretto allo spettatore come un haiku.

Merito della regia salda e convincente di Kormakur, capace di intrecciare sapientemente piani temporali diversi ed evocare, non senza apprezzabili barlumi di ironia, il tepore della nostalgia. Una nostalgia che attraversa cinquant’anni di vita, percorsi secondo un valore che diventa tatuaggio sulla pelle del protagonista: “Coraggio”.