TRAPANATERRA “Tornare per non restare”
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TRAPANATERRA nasce da un’idea di Dino Lopardo presentata per la prima volta come compito di composizione scenica durante il corso di Drammaturgia dell’Attore tenuto da Rosa Masciopinto per l’AIAD (Accademia di Arte Drammatica del Teatro Quirino di Roma). Successivamenteil progetto è stato sviluppato da Dino Lopardo come tesi di laurea in drammaturgia e sceneggiatura presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico.
Selezionato dal Bando Cu.Ra. e sostenuto da I.DRA – Indipendent Drama Residenza e da Elsinor Centro di produzione teatrale di Firenze (Teatro Cantiere Florida) il testo è diventato un vero e proprio atto unico.
SINOSSI
L’emigrato è un naufrago in terra natìa. Quello che ha conosciuto lo rende estraneo. Quello che sa, e che gli altri non sanno, lo rende più solo.
Nóstos; Algía; Nostalgía; dolore del ritorno. Terra sotto le scarpe, ai lati del cuore e sulla punta delle ciglia. Sguardo lontano, pensiero a una zolla che per anni si è vissuta solo con la mente. Itaca portabile, alma mater sconquassata.
Trapanaterra è un’Odissea meridionale, una riflessione sul significato di «radice» per chi parte e per chi resta, un’ironica e rabbiosa trattazione dello sfruttamento di una terra.
“Chi sei? Dove vai? Da dove vieni? Cosa vai cercando? Quando te ne andrai?” Sembra dire il fratello che è restato a quello che è tornato, organetto alla mano, alla terra dei padri. Il più piccolo in calosce si districa tra i tubi gorgoglianti della raffineria. Il più grande quello che è “scappato”, è un bohemienne che respira di nuovo l’aria di casa, una casa che forse non c’è più, che è cambiata. Un Paese di musica e musicanti dove non si canta e non si balla più, nemmeno ai matrimoni. Si può solo sentire il rumore delle trivelle, la puzza dei gas e il malaffare.
Storie d’infanzia, ricordi di famiglia, canti di piazza e bestemmie: è l’ultra-locale che diventa ultra- universale.
Tutto è impastato nel dialetto, osso delle storie che s’insinua come la musica. Inutile arrabbiarsi, o forse no. Qualcuno è partito perché altri potessero crescere, perché la terra madre non ha i mezzi per alimentare le speranze di tutti. Ma di chi è il coraggio, di chi resta? O di chi torna?
Daniele Sidonio