UNA FEMMINA

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Da bambina Rosa ha assistito ad un evento tragico che la sua intera famiglia l’ha spinta poi a rimuovere: un atto di violenza inaudita, come punizione per non aver mantenuto un silenzio omertoso. Da grande Rosa vive con la zia Rita, nonna Berta e il cugino Natale seguendo le regole dello zio Tore, che ha una gestione maschilista e dittatoriale della famiglia. Ma Rosa sente che in quel regime c’è qualcosa di sbagliato e di ingiusto, e dentro di lei si agita quello spirito da “femmina ribelle” che apparteneva a sua madre. Purtroppo però la Calabria rurale affiliata alla criminalità organizzata non è luogo in cui la ribellione femminile è ben accetta. E Rosa dovrà decidere quale destino seguire, a proprio rischio e pericolo.
Una femmina è dedicato “a tutte le femmine ribelli” e “a tutte le vittime della ‘ndrangheta”, nonché “ispirato a storie e fatti realmente accaduti”.
Il cosentino Francesco Costabile, al suo esordio come regista di un lungometraggio di finzione e cosceneggiatore insieme a Serena Brugnolo, Adriano Chiarelli e Lirio Abbate (autore del libro “Fimmine ribelli” e del soggetto del film con Edoardo De Angelis), conosce bene la realtà di cui parla ma intende trasfigurarla in senso universale, per raccontare una condizione femminile costretta ad una perpetua sudditanza e a comportamenti che arrivano a contraddire la natura delle donne e persino il loro senso materno.
Alcune scelte registiche, come il fuorifuoco di metà dello schermo delle scene iniziali, descrivono visivamente un mondo almeno per metà inconoscibile e una profonda scissione interna negli animi di chi è costretto a subire, e a perpetrare, una cultura patriarcale e ferina, incarnata dal padre-padrone Tore ma anche da suo figlio Natale, i cui istinti belluini schiacciano qualunque sua umanità. Una femmina tratteggia l’implosione delle coscienze e la distribuisce a tutti i personaggi, anche i “cattivi”, in qualche modo vittime (oltre che carnefici e beneficiari) di una pressione culturale insostenibile.
Rosa sa nel profondo che non esistono “cose non da femmine” e che i segreti e le bugie generano solo violenza e tradimenti, ma la sua presa di coscienza è ostacolata da legami famigliari ingombranti e dal diniego ostile e ottuso che la circonda. Il matriarcato delle culture ataviche, portatore di valori e di vita, è soggiogato da quegli uomini che “sono la rovina delle donne”, invitate ad abbassare lo sguardo e rassegnate a farsi calpestare in cambio di una inaffidabile protezione contro la violenza dei clan rivali.